La Riflessologia è una terapia olistica, una specifica
tecnica di pressione che agisce sui punti riflessi della pianta del piede, la
quale rappresenta una sorta di microcosmo: tutto il corpo vi è riflesso.
Tracce di Riflessologia sono sparse ovunque, dall’antica Cina,
passando per l’Egitto, approdando ai popoli indigeni dell’America del Nord.
Il documento più antico a testimoniare la pratica della Riflessologia
Plantare è il pittogramma rinvenuto nella tomba
di Ankmahor, a Saqqara, anche conosciuta come la “Tomba del medico” (2330 a.C.). Secondo l’Istituto del Papiro del Cairo, i
geroglifici alle spalle delle figure impegnate in un trattamento di mani e
piedi, significano: “Non farmi male” e: “agirò in modo da meritare la tua lode””.
In Cina era già stata sviluppata
la teoria dei meridiani intorno al 2500 a.C. e la riflessologia non era
certo estranea al sistema terapeutico dell’epoca. Considerando i meridiani come
i percorsi dell’energia, la Medicina Tradizionale Cinese riteneva che la
malattia fosse un blocco del flusso energetico che con l’agopuntura, il tuinà e
altre tecniche (tra cui probabilmente il trattamento dei piedi) veniva
ristabilito.
I medici cinesi esercitavano una forte pressione sulle piante dei piedi e
sull’alluce, ritenendo che i piedi siano la parte più sensibile del corpo e
quella più carica di energia.
In Cina la Reflessologia viene definita l’agopuntura senza aghi. I cinesi
furono tra i primi a comprendere e scoprire che si potevano curare alcune
malattie per via riflessa, (come con l’agopuntura), stimolando con pressioni
alcuni punti sul piede, lontani dall’organo in questione. All’anno 2000 a.C.
risale una celebre tavola che raffigura la forma di un feto nella pianta di un
piede. Nel 450 a.C. circa, un contemporaneo di Confucio, Mo Tse, codificò il
massaggio plantare On Zon Su.
In India, Thailandia, Sri Lanka e in genere in tutto il
Sud-Est asiatico, prima ancora delle immagini del Buddha veniva raffigurata e
venerata l’impronta del suo piede.
La stessa medicina ayurvedica prevede un singolare massaggio ai piedi
(Padabhyangam) dove l’analisi della costituzione corporea del ricevente
determina l’utilizzo di oli differenti.
Ben lontano, gli indiani Cherokee utilizzavano attrezzi di legno affusolati
per esercitare delle pressioni su alcuni punti riflesso per ritrovare uno stato
di benessere psico-fisico mediante lo sblocco di canali energetici.
Jenny Wallace, Cherokee,
terapeuta negli Stati Uniti, raccontava che nella sua tribù, dove era
conosciuta come la Vergine della Luna (appellativo concesso alle giovani donne
che manifestavano il talento della cura), l’arte di trattare i piedi era molto
antica e faceva parte di un cerimoniale sacro a cui non era necessario essere
ammalati per partecipare.
“I piedi camminano sulla terra e attraverso loro il tuo spirito è legato
all’universo”.
L’Occidente deve molto, in questo ambito, al dottor Fitzgerald che, ai
primi del Novecento, sviluppò la teoria delle Linee Zonali, influenzato anche
dall’incontro con una tribù Navaho che praticava una sorta di pressoterapia
palmare. Fitzgerald cominciò applicando degli elastici attorno la parte
centrale delle dita ed esercitando pressioni direttamente sui polpastrelli dei
pollici e degli alluci, provocando reazioni analgesiche grazie al rilascio di
endorfine. Fu la collaborazione con il dottor Riley a incentivare lo sviluppo
della Terapia Zonale e lo studio delle linee energetiche: si ritenne l’intero corpo costituito da 10
linee verticali e 3 orizzontali che andavano a formare zone corrispondenti tra
loro: quindi, stimolando con pressioni un qualsiasi punto lungo queste linee,
si poteva avere una sorta di reazione di riequilibrio in un altro punto del
corpo lungo la stessa linea o sezione.
Negli anni Trenta Riley coinvolse
in questo studio una fisioterapista, Eunice Ingham, che diede nuovo slancio
alla ricerca: a lei dobbiamo la mappatura del piede e l’impostazione della Riflessologia moderna che all’interno delle
zone identifica, nello specifico, quelle aree in correlazione con ogni singolo
organo e funzione, dove poter intervenire non solo per curare ma anche per
prevenire diverse patologie.