Presso i popoli mesopotamici, Sumeri ed Assiro-Babilonesi,
la lavorazione di sostanze aromatiche, nonchè il loro commercio, era
particolarmente sviluppata. I sumeri per primi, infatti, seppero
organizzare una classe di mercanti ed artigiani che tracciarono un fitta rete
di traffici estesa dall’Egitto a Cipro, dalle coste Orientali
dell’Africa alla penisola Arabica. Fu soprattutto durante il regno di Giudea
(2050-2000 a.C.) che tale commercio raggiunse le sue fasi di massimo sviluppo a
tal punto che i magazzini di profumi traboccavano delle preziose merci. In un
passo del poema di Gilgamesh si parla di un olio Sin, relativamente alle cui
caratteristiche le notizie pervenuteci sono assai scarse.
La tradizione sumera dell’uso degli aromi
proseguì con la civiltà assira, la
prima ad averci consegnato un numero considerevole di testi scritti
sull’argomento. Quindi possiamo conoscere con precisione nomi e tecniche di
lavorazione dei vegetali da cui si ricavano preziose essenze; essi erano, per
citarne alcuni: il mirto, la rosa, la mirra, il cipresso, il cardamonio, il
giunco odoroso, la senape.
Tanto il contatto con la cultura egiziana,
quanto quello con la civiltà babilonese e romana furono determinanti per la nascita
e lo sviluppo, nella cultura ebraica, di una tradizione basata sugli
aromi. Nell’Esodo, ad esempio, possiamo leggere come, in aperta analogia con i
costumi egizi, fosse stato Yahweh, ad avere consegnato al suo popolo la ricetta
dell’olio lustrale i cui componenti erano mirra, cinnamomo, canna aromatica e
cassia, miscelati in un olio di oliva o, forse, di sesamo.
Il regno di Salomone (X sec. a.C.) e la
cosiddetta “cattività babilonese” (VI sec. a.C.) furono le fasi cronologiche
nel corso delle quali le conoscenze e competenze aromatologiche ebraiche si affinarono
ulteriormente. Il famoso episodio dell’incontro tra la regina di Saba ed il re
Salomone, narrato nell’Antico Testamento, ci consente di dedurre quanto
rilevante sia stato l’apporto dei Sabei alle conoscenze ebraiche. La
regina di Saba è nota, per essere stata, oltre che un’appassionata
“consumatrice” di cosmetici, anche la creatrice di un “profumo di fiori di
caffè” e di un portentoso unguento antirughe.
Presso i Fenici, particolarmente
intenso fu, fin dalle origini, il commercio di profumi, balsami ed essenze
aromatiche; a tale attività si aggiunse ben presto anche quella della
produzione in loco, realizzata per così dire, su scala industriale, come
dimostra il ritrovamento a Cartagine di un impianto fornito di numerose e
sofisticate attrezzature.
Oltre
all’uso di unguenti e profumi, presso le società mesopotamiche era diffuso un antesignano “Hot stone massage”: si riteneva che le rocce, come
anche i minerali, possedessero delle energie capaci di curare malattie, diagnosticarle
e portare anche fortuna. Si ricorreva a pietre di origine vulcanica,
perfettamente levigate, che rilasciavano lentamente il calore precedentemente
accumulato.
Questa pratica sembra essere un “universale”
del massaggio: se ne trovano
testimonianze in Egitto, India, Cina già 5000 anni fa.
A quest’argomento si sono interessati filosofi
come Teofrasto o lo storico Plinio il Vecchio e, ben distante dalla Mezzaluna Fertile e dall’Estremo Oriente, l' Hot Stone era diffuso anche tra gli Indiani dell’America del nord, gli Incas e i Maya.